Ironman Lanzarote.. eccoci qui. passato il trambusto della gara e del giorno dopo, con la mente un po’ più lucida per provare a descrivere le emozioni di questa bellissima gara e questo incredibile week end. Riuscire a vincere di nuovo qui ha un sapore particolare. Sono ormai profondamente legato a quest’isola perché qui ho vinto il mio primo IRONMAN (ed unico fino a sabato) dopo un momento brutto della mia carriera sportiva; perché sempre da qui sono ripartito l’anno scorso dopo un altro brutto incidente alla spalla, raggiungendo un altrettanto fantastico secondo posto. Perché ormai non conto più le volte in cui sono venuto qui ad allenarmi, a farmi asciugare il sudore dal vento che non smette mai di soffiare, mai stufo di riempirmi gli occhi di questi paesaggi stupendi legati ai quali ci sono ormai sempre più emozioni, storie, amicizie.
I giorni precedenti tra pressioni e speranze
Questa volta, ancor di più, sono venuto sulla Isla convinto di poter fare bene, consapevole che il lavoro fatto quest’anno era stato tanto e di ottima qualità, e di poter lottare per il gradino più alto. Mancava solo che la sfortuna delle prime due gare di questa stagione mi abbandonasse, ma ne ero certo, perché Lanzarote mi porta bene. I giorni prima della gara sono passati abbastanza lisci, cercando solo di far scivolare via la pressione che, nel bene o nel male, sentivo addosso. “Vinci sabato?” Una delle domande più ricorrenti, oppure: “Secondo me quest’anno vinci!” Persino il mitico Kenneth (Race Director di Ironman Lanzarote), durante la conferenza stampa si avvicina e mi dice: “I put my money on you!” Io lo guardo perplesso e gli chiedo il perché; e lui mi risponde con il suo solito sorriso: “Non preoccuparti, sono i miei, non i tuoi!”
Il giorno piu’ lungo
E così si arriva anche al sabato mattina: tutto è pronto, io sono pronto, mia moglie e Alberto sono pronti a seguire la gara nei vari punti stabiliti, cronometri alla mano, i miei compagni di trasferta anche.. e finalmente si parte. Per il nuoto il mio obiettivo era di rimanere nel primo gruppetto che sapevo si sarebbe creato, in particolare con Iván Raña, Romain Guillaume e Peru Alfaro, gli avversari che temevo di più tra quelli che avrebbero nuotato forte. Ed in effetti, come già successo in Sudafrica, sono riuscito a stare lì senza neanche fare troppa fatica, uscendo dall’acqua in ottima posizione. Facendo un cambio abbastanza veloce, salto sulla bici affiancato a Guillaume e vedo che parte come se fosse uno sprint. Non voglio farlo scappare troppo, perché l’anno scorso era sceso dalla bici dieci minuti prima di me, e il mio obiettivo è quello di cercare di tenerlo più vicino possibile. Dopo il primo tratto sulla circonvallazione di Puerto del Carmen si comincia a salire: ho già 30″ di ritardo ma la salita è il mio terreno preferito, così mi impongo di pedalare quasi al limite per vedere cosa succede. E succede che pian piano mi avvicino finché, intorno al 20° km lo raggiungo e lo supero. Non so perché lo abbia fatto, forse per fargli capire che ero lì e che stavo bene.
Mi sono quindi buttato a capofitto giù verso il golfo e poi su, direzione Tymanfaia; appena prima della salita Guillaume mi passa davanti ma vedo che va più piano di quanto sarei andato io, quindi dopo metà Tymanfaia mi rimetto davanti, perché a questo punto, visto che siamo lì, meglio cercare di guadagnare il più possibile. Verso il 60° km mi volto e vedo che Romain si è un po’ distanziato.. e succede una cosa per me assolutamente nuova: sono in testa alla gara, da solo. Per un momento mi trovo disorientato: “E adesso? Cosa faccio?” Un momento dopo mi rimetto a testa bassa con un solo obiettivo: menare! Me lo ricordano gli amici di Lanzarote Training Camps (in realtà questo è il loro motto ;-D …) anche loro sul percorso a farmi il tifo e, poco dopo, a San Bartolomé, ricevo informazioni da Alberto e Federica: poco meno di un minuto su Guillaume e quasi 5 su Raña.. quasi non ci credo! Continuo col mio passo, cercando di andare regolare nei tratti in cui stare in posizione, e di spingere più forte nelle salite. E così passo Teguise, Los Nieves, all’osservatorio, prima di scendere verso Haria. Mi fermo un secondo a prendere una mia borraccia nella postazione degli special needs e giù per i tornanti di Malpaso. Mi rendo conto da come “sbacchetta” la bici sui tornanti, che il vento (che dalle previsioni sarebbe dovuto essere abbastanza tranquillo) così tranquillo non è, anzi.. ma tant’è che ormai siamo in ballo e il vento c’è per tutti. Salgo così verso il Mirador del Rio, sto ancora bene, e sono abbastanza pimpante. Nella lunga discesa verso Arieta metto in bocca una barretta, cercando di recuperare e abbassare le pulsazioni. Ancora una decina di chilometri di falsopiano a salire (ma con il vento finalmente a favore) prima di arrivare al terzo punto dove sapevo avrei rivisto mia moglie e il mio coach: ho sempre 5′ su Raña, mentre gli altri, dietro, sembrano andare più piano. Affronto la salita di Teseguite (una delle novità del percorso) che conosco molto bene, per ripassare poi a Teguise. Siamo intorno al 150° km e la stanchezza comincia a farsi sentire. La discesa verso Famara è durissima per via di un forte vento contrario/laterale che fa sembrare quasi più facile il rientro da questo bastone.. e poi su ancora verso San Bartolomé dove ho l’ultima segnalazione dai miei: distacco più o meno invariato su Raña e oltre 10′ sugli altri. Si sale in falsopiano ancora per una decina di chilometri e poi finalmente la discesa finale e la circonvallazione al ritorno, ma ormai la testa è già alla corsa.
La maratona: gli ultimi 42 km in solitudine
Entro in T2, cambio veloce e via, inizio la maratona con poco più di 4′ di vantaggio. Ed anche qui, per la prima volta, stranamente non sono più io ad inseguire.. allora mi chiedo: “Non sarò mica io la preda questa volta?” Ma, siccome non voglio diventarlo, decido di partire al mio solito: cardio alla mano mi porto sui 150 battiti e, fino al primo giro di boa (ai 10,5 km) non mi giro e spingo. Giro la boa ad esattamente 40’00” sul mio Polar, non faccio neanche partire un lap e inizio il ritorno. Quando incrocio Raña sono ad oltre 43′ (che moltiplicato per 2 vuol dire che ho più di 6′ di vantaggio), lo osservo mentre mi viene incontro e capisco che non è proprio fresco. Decido comunque di continuare con il mio ritmo fino alla mezza maratona dove passo a circa 1h22′, e qui “lappo”. Ho quasi 8′ su Raña e oltre 12′ sul Cyril Viennot che è terzo. Capisco che ho la gara in pugno ma inizio ad avere un po’ di crampi alle gambe, prima agli adduttori e poi sotto il piede sinistro. Cerco di bere più sali possibili ai ristori, oltre ai gel e alle due borraccette di R2 ENERVIT che ho preso agli special needs al 22° km.
So che devo stare concentrato fino alla fine, perché a questo punto potrei solo essere io a perdere la gara, e non ne ho assolutamente intenzione! Rallento una decina di secondi al km, mi fermo ai ristori, camminando, in modo da idratarmi al meglio. Nonostante questo non perdo praticamente nulla rispetto a Raña, e solo Viennot si avvicina un po’, ma sempre intorno ai 10′. I due giri da 10,5 km che servono a finire questa faticaccia passano più o meno così, tra intertempi che ormai dicono che la situazione non cambierà più per il podio e una moltitudine di gente che incita e sostiene tutti gli IRONMAN che stanno portando a termine la loro personale vittoria. Solo i crampi (che mi fanno sempre tenere alta la tensione) non mi permettono di godermi gli ultimi 10 chilometri con relativa tranquillità. Ma poi, appena mi appresto per l’ultima volta a percorrere quegli ultimi 2 chilometri dell’Avenida del Mar tra due ali di folla urlante, vedo tanti volti conosciuti, tantissimi italiani quasi impazziti, e mi rendo conto che ormai è veramente fatta. E poi arriva il traguardo, vedo lo striscione e tutti quelli che mi stanno aspettando. Mia moglie è a 50 metri dalla finishline, la vedo all’ultimo, voglio quasi tornare indietro, rallento soltanto, basta uno sguardo per capire quanto sia felice anche lei e proseguo corricchiando verso il traguardo. Il Ristorante Pizzeria Italia del mio amico Massimo, che si affaccia proprio sull’arrivo, sventola il tricolore e attacca l’Inno di Mameli.. HO VINTO “EL MAS DURO” per la seconda volta… che emozione!
E così è andata. Aspetto Ivan Raña, che considero uno dei più grandi triatleti di sempre, uno che quando gareggiavo nel circuito ITU sembrava un extraterrestre, un idolo. Quei 6′ sembrano un’eternità e penso a quanto sono stato stupido a pensare che potesse venire a prendermi fino quasi alla fine.. ma in gara è così, finché non si passa il traguardo, non è mai finita. Mi scuso per la lunghezza di questo racconto e spero di non aver annoiato nessuno (anche perché chi si fosse stufato avrà già smesso di leggere). Non mi resta che ringraziare tutti quelli che mi hanno supportato fin qui, la mia famiglia (un saluto speciale al mio Luchino che questa volta non è potuto essere qui con noi, ma che in gita scolastica, in fin dei conti, si sarà sicuramente divertito di più ), il mio Coach, Alberto Bucci (che finalmente mi ha visto vincere una gara importante dal vivo), tutto il mio staff, i miei sponsor, i miei amici, compagni di allenamento e di trasferte in giro per l’Italia e per il mondo, chi mi ha seguito da casa, dal PC (e finalmente è riuscito a vedermi non solo negli ultimi chilometri della corsa), chi mi ha mandato messaggi di ogni tipo prima, durante e dopo la gara, Giacomo “Jack” Petruccelli dietro la tastiera del suo computer a scrivere tutti gli aggiornamenti su tutti i miei social, in italiano e in inglese, e tutti quelli che mi sono stati vicino in qualsiasi modo, inclusi tutti i finisher che hanno vissuto con me questa splendida giornata di sport. Grazie di cuore!
Ale
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