“Vado al Mondiale per la terza volta di fila, ma questa volta voglio farlo bene.”
Questo pensiero mi ha accompagnato per diverso tempo prima della partenza per Kona. Quest’anno avevo volutamente deciso di cambiare il mio programma di avvicinamento al mondiale optando per rimanere in Italia e fare direttamente l’acclimatamento a Kona. Prima sono stato in Liguria dagli amici del Sanremo Training Camps, e poi a Cervia in occasione dell’IRONMAN Italy. La settimana in Liguria si è conclusa con il 70.3 di Nizza. La gara è andata male: ho pagato un po’ di stanchezza che probabilmente avevo sottovalutato. Venivo infatti da un’estate molto impegnativa a livello di carichi di allenamento, finita con un weekend in Toscana dove ho gareggiato in uno sprint e in un’olimpico. Due gare comunque impegnative a cui si è aggiunta poi una settimana di lavori specifici, appunto in Liguria. Ho voluto trasformare la gara di Nizza in un allenamento, correndo un totale di 30 km ad un ottimo ritmo. Nei giorni successivi però, ho deciso di prendermi qualche giorno di riposo prima di iniziare l’ultimo blocco di allenamenti in quel di Cervia. In Romagna stavo abbastanza bene, il nuoto mi faceva stare tranquillo, i lavori in bici proseguivano come da programma e sono anche riuscito a fare un ottimo volume di corsa, con due allenamenti oltre i 30 km.
La caduta in bici a Kona
Una volta arrivato a Kona ero abbastanza tranquillo, mi serviva solo riposare, abituarmi alla temperatura e fare l’ultima rifinitura. Una settimana prima della gara ho partecipato alla gara di nuoto sullo stesso percorso del mondiale e ho nuotato bene, nel gruppo principale, intorno ai 50/51′: mi sentivo bene e il morale era alto. Ormai mancavano solamente un paio di piccoli lavori prima della gara, come da programma, ed invece è successo quello che non ti aspetti. L’uscita in bici del lunedì precedente la gara (due giorni dopo quella di nuoto) si è trasformata in un incubo: allungo la mano per prendere la borraccia e bere un sorso d’acqua e all’improvviso arriva una folata di vento che mi fa finire dritto negli “speed bumps” (quei piccoli solchi nell’asfalto che servono da avvertimento per gli automobilisti a non uscire dalla carreggiata). Cerco di tenermi in equilibrio per non cadere ma è un attimo, perdo il controllo del manubrio e finisco per terra, proiettato in avanti e in avvitamento. La parte sinistra (anca e gomito/avambraccio) prendono il colpo peggiore, ma poi, girandomi, batto anche schiena e testa, per atterrare sul lato destro con escoriazioni meno profonde. Dopo una mezza giornata passata in una costosa ma non altrettanto efficiente clinica americana, già dal giorno successivo ho ripreso lentamente, seppur dolorante, a muovermi, stringendo i denti, per capire cosa potessi riuscire a fare. Volevo comunque presentarmi allo start e provarci fino alla fine, per me stesso, per tutti i sacrifici fatti durante l’anno, per provare a invertire la rotta nonostante tutto e per tutti quelli che mi sono sempre stati vicino: il mio allenatore, gli amici, sponsor e tifosi. Erano saltati gli schemi, ma ho provato comunque a rimanere concentrato su quello che potevo fare in quella situazione, cercando di darmi un nuovo obiettivo rispetto a quello che mi ero prefissato.
Una gara diversa
Sono partito a nuoto relativamente bene ma, mentre nuotavo, le sensazioni andavano via via peggiorando. Mi sentivo poca forza e non riuscivo a sviluppare velocità, e infatti sono uscito nell’ultimo gruppo, oltre 4′ in più rispetto a come avevo nuotato la settimana precedente. Mi sono subito reso conto che non ero nel posto in cui avrei dovuto essere, ma volevo comunque salire in bici e vedere se la gamba girava. Purtroppo però la realtà è diversa dalle favole. I supereroi, ahimè, non esistono. Esiste solo essere nel posto giusto, al momento giusto, con la preparazione e la condizione giusta. Ed in quel momento non avevo nessuna delle tre cose. Le gambe non c’erano, mi sentivo su un mezzo estraneo e svuotato di tutto. A quel ho preferito fermarmi perché non solo non avrebbe avuto nessun senso gareggiare in quelle condizioni ma vedevo i rimanenti 165 km come un calvario. E’ stata una scelta molto dolorosa ma credo sinceramente di non aver avuto altre opzioni. Purtroppo è andata così e, se mi guardo intorno, vedo che comunque non sono stato il solo. D’altronde, anche questo fa parte del mio lavoro: un giorno stai bene e l’altro puoi cadere. Ci sono periodi in cui tutto va bene ed altri in cui sembra andare tutto storto. Questa volta sono caduto, ma l’unica possibilità è rialzarsi e guardare avanti.
Grazie a tutti.
Ale
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